L’ICONA
(Tratto da: “Corso Teorico-Pratico d’Iconografia”, del Prof. Andrea Trebbi e da: www.atelier-st-andre.net)
Brevi cenni storici
Con il termine “Iconografia”, che deriva dalla parola greca “eikôn” che significa “immagine”, si può definire l’antica arte di tradurre la Parola Sacra con colori e forme, ovvero di rendere visibile il sacro attraverso l’immagine.
L’iconografia nasce con il Cristianesimo, che diviene religione di stato sotto Costantino nel 312, ma solo con il Concilio di Costantinopoli del 691 si dà agli artisti la possibilità di raffigurare il Cristo con sembianze umane, in quanto il Verbo di Dio, apparso nella carne e vissuto tra gli uomini, ha concesso di esaltarne l’umiliazione, rappresentandone la materia, cioè quello che Dio ha reso visibile. Per questo tutto ciò che Gesù ha detto e ha fatto viene testimoniato al mondo.
Nell’ebraismo non c’erano immagini di Dio, poiché Egli negava agli Israeliti che venissero fatte immagini di Lui; è scegliendo di incarnarsi in Cristo che ci ha rivelato la Sua vera immagine; perciò si può dire che l’icona trova le sue radici nell’Incarnazione.
All’inizio, però, non è stato facile; la Chiesa, infatti, era divisa sul fatto di accettare o meno la raffigurazione di Dio; questa divisione, ed il timore di ricadere nell’idolatria (oltre che a vecchie motivazioni politiche) portarono, nell’anno 726, alle lotte iconoclaste.
L’iconoclastia, (dal greco: lotta contro le immagini), di cui fu promotore l’imperatore Leone III Esaurico, che emanò un editto con cui si vietava qualsiasi raffigurazione della divinità, attuando vere e proprie persecuzioni degli iconografi e imponendo la distruzione di tutte le immagini esistenti.
Gran parte delle icone venne pertanto distrutta, cosicché non ne esistono molte del periodo antecedente il 1100; le più antiche sono conservate nel Monastero di S. Caterina nel Sinai.
Nel 731 Papa Gregorio III si appellò invano all’imperatore e denunciò il movimento, scomunicando gli iconoclasti.
Nel 754 l’imperatore Costantino V convocò un Concilio a Ieria, sul Bosforo, dove i 388 Vescovi partecipanti (nessuno proveniente da Roma, Antiochia, Alessandria e Gerusalemme) accettarono le posizioni iconoclaste, formalizzando, così, il consenso della Chiesa.
Un breve periodo di tregua si ebbe con il regno dell’imperatrice Irene che nel 787, d’accordo con il Papa Adriano I, convocò il Secondo Concilio di Nicea, per far condannare le dottrine degli iconoclasti.
Dopo circa tre decenni, però, nell’815, il nuovo imperatore Leone V l’Armeno, ripristinò l’iconoclastia.
La lotta iconoclasta terminò solo nell’ 843 quando il Sinodo, convocato dall’imperatrice Teodora e dal Patriarca di Costantinopoli Metodio, approvava un documento conciliare, con cui si dichiarava che chiunque venerava un’immagine sacra venerava in essa la realtà che vi era rappresentata, rivolgendo tale venerazione non al legno dipinto, non ad una realtà umana, ma alla realtà di Dio.
Nei primi secoli l’iconografia era l’espressione artistica di tutta la Chiesa universale; con lo Scisma, in oriente si è andati avanti fino ai nostri giorni, mentre in occidente, prima ha perso di significato, per poi scomparire del tutto, lasciando il posto al realismo. La Russia ha poi accolto, con la conversione al Cristianesimo (anno 1000), questa tecnica, messa a punto a Bisanzio, facendone in qualità e in quantità la sua massima espressione artistica, raggiungendo l’apice con il suo più grande maestro: Andrej Rublev.
L’importanza nella liturgia
L’icona diventa così un elemento di grande importanza per il Cristiano. Viene posta nell’angolo più bello della casa e accompagna tutta la vita della famiglia; per esempio, per un battesimo si fa scrivere un’icona della lunghezza del bambino, è presente ad un banchetto di nozze, al capezzale di un moribondo, ecc..
Nelle chiese ortodosse si trova l’iconostasi, o muro di icone, che separa i fedeli dal luogo del culto, riservato al sacerdote. Questa potrebbe sembrare una separazione, in realtà serve per rendere in immagini la Fede scoprendo il mistero di Dio ai fedeli (ad esempio, quando viene annunciata la parola di Dio, il sacerdote esce dalla porta su cui è raffigurata l’Annunciazione).
Ciò che si dipinge nell’icona è la realtà vista con gli occhi della Fede. L’icona aiuta a far vedere la luce di Dio ed in essa viene rappresentato tutto ciò che è detto nel Vecchio e nel Nuovo Testamento.
Scelta tecnica iconografica è di far partire tutti gli elementi rappresentati, dal buio che è inteso come peccato dal quale ci si allontana, fino a raggiungere la luce, attraverso un cammino, che per tutti è uguale in partenza. Quindi un cammino difficile che porta dalle tenebre del peccato alla luce della Divinità e della Grazia.
Tutte le icone, pur diverse tra loro, hanno un’affinità comune ed un comune intento: testimoniare l’invisibile, sostenere la nostra Fede, aiutarci a pregare.
Ecco perché non appaiono le firme degli artisti; perché l’immagine non deve suscitare emozioni umane, ma deve far conoscere un mondo soprannaturale.
Brevi cenni storici